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Ma quanto è Buono/Cattivo questo vino

  • 25 marzo 2013
    di fresco rientro da una degustazione tenutasi lo scorso fine settimana stavo sfogliando il taccuino su cui prendo appunti e do le mie ersonali valutazioni a quanto degustato. Non ho potuto fare a meno di notare come, confrontando i miei voti con quelli di stimati colleghi, fossimo tutti concordi nel dare giudizi piuttosto entusiastici ai vini presentati, lì per lì ho accantonato la sensazione. Stamatina è tornata forte sotto forma di un simpatico aforisma del mai sufficentemente compianto Oscar Wilde che ne "Il ventaglio di Lady Windermere" fa dire: "Ogni volta che la gente è d'accordo con me provo la sensazione di avere torto". Insomma, il tarlo dell'essere in errore si è sviluppato in me proprio stamattina tornando a sfogliare il taccuino: al di là della cruda votazione numerica, gli appunti parlavano di vini con colori brillantissimi, profumi -i più diversi fra loro- tuti ben presenti e ordinati in modo tale che un naso ben allenato riuscisse a distinguerne una trentina passando dalla fruta rossa al vinile o dalla fruta bianca all'idrocarburo senza perdersi un solo detagli. Per tacre del gusto così composto, del tannino mai sopra le righe (nel caso dei rossi), della morbidezza che sembrava riempire la bocca riproponendo al palato quei sentori così distintamente espressi al naso.
    Tirando le somme, in molti casi, si trattava di vini perfetti (e non nascondo di aver gioito nel degustarli nonostante il necessario sputo nella glacette per evitare il coma etilico), vini completi, senza sbavature, senza la benchè minima percezione di un dettaglio fuori posto.... cosa c'è che non andava?
    Forse oggi riesco a darmi la risposta: un vino in se autocompiuto non ha bisogno di nulla fuorchè se stesso, paradossalmente nemmeno di un degustatore: lo si potrebbe porre su un piedistallo, adagiato su un cuscino di velluto, coprirlo con una teca di vetro e porlo in esposizione. L'autosufficienza ostacola la condivisione, quella condivisione che fa di me un appassionato di vino, quella condivisione con il piatto giusto e con la compagnia giusta, quella condivisione in cui è necessario che il vino torni ad essere un vino vero, più che un vino buono; un vino che sappia essere compagno, un vino che completi e che, quindi, per sua intrinseca essenza, debba essere caratterizzato da una qualche (non eccessiva) imperfezione, una sorta di strabismo di venere enologico che lo renda più affascinante. Valga per tutti l'esempio di un trebbiano testato durante la degustazione di inizio ottobre presso la nostra enoteca. Ieri sera l'ho riaperto prima di salire in enoteca il pomeriggio per poi degustarlo a cena. Risultato? percepivo in modo nitido il sapore dell'uva, mi sembrava che quel nettare fosse stato spremuto sul momento e pur non avendo le pretese di diventare il miglior vino del mondo era, nella sua semplicità, un vino che si abbinava naturalmente bene con una pasta alla carbonara improvvisata con amici. Nessuno si è soffermato a perder tempo nel descriverlo, il connubio gustativo era perfetto e la chiacchiera e volata via con semplicità sugli argomenti più disparati... insomma un vero e proprio convivio (seppur modesto) dove, ancora una volta ho riprovato le ragioni profonde della condivisione più intima e vera dei piaceri della tavola

    buona salute a tutti