Gazzetta di Reggio

Reggio

Lambrusco, è a rischio la denominazione tipica

di Claudio Corradi
Lambrusco, è a rischio la denominazione tipica

L’Europa, capeggiata dalla Spagna, punta alla liberalizzazione dei vitigni che non sono riconducibili a una specifica provenienza geografica

21 novembre 2015
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REGGIO EMILIA. Non è certo il caso di fasciarsi la testa prima del tempo, ma al momento stesso occorre anticipare i tempi senza abbassare la guardia. In gioco, nelle decisioni che nei prossimi giorni verranno prese a Bruxelles, ci sono infatti le sorti del nostro Lambrusco e dell’intera economia vitivinicola locale, alla quale, alcuni Paesi europei (con la Spagna in prima linea) vogliono rubare la denominazione tipica.

Se la prendono con uno dei vini più interessanti ed esportati del momento, con il pretesto di semplificare liberalizzando la produzione dei vini che prendono il nome dal vitigno. Il più importante di questi è proprio il nostro Lambrusco. «I vini che non prendono il nome dal territorio – spiega l’europarlamentare Paolo De Castro, coordinatore per il gruppo Socialisti e Democratici della commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, che in questi giorni sta vivacemente lavorando a sostegno delle nostre ragioni – rischiano di essere tolti dalla lista dei vini protetti nell’Unione Europea».

La novità, a dire il vero, era nell’aria da tanto tempo, a tal punto che proprio in terra reggiana, a Scandiano, grazie alla lungimiranza del presidente del Consorzio dei Vini Reggiani, Davide Frascari, e degli amministratori locali, sono nate due singolari località: Lambrusco e Spergola.

A Reggio sono quindi state messe le mani avanti: prima di noi lo avevano fatto in aprile nel vicino territorio del Pignoletto, grazie anche al regolamento di attuazione del nuovo codice della strada, che prevedeva la possibilità di delimitare zone di particolare interesse territoriale.

Ora resta da valutare se l’iniziativa di allora, compiuta anche a sostegno della tipicità enologica di quei luoghi, sarà effettivamente e giuridicamente in grado di preservarci dalle ventilate usurpazioni, che provocherebbero per i nostri produttori un danno economico indescrivibile. Gli addetti ai lavori vedono questo percorso di rivendicazione del territorio-denominazione come ultima spiaggia, sia per il fatto che non dà garanzia assolute (visto che il Lambrusco di per sè non esiste, sebbene esista seguito dal nome della varietà), ma soprattutto perché al momento c’è una gran voglia di far prevalere ragioni vere e non artifizi.

«Il percorso per salvaguardare il Lambrusco – precisa la senatrice Leana Pignedoli, che sta organizzando per gennaio un incontro con l’onorevole De Castro proprio a Reggio – è molto arduo e necessita della collaborazione dei produttori di altre aree coinvolte in questo pasticcio».

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