In questi giorni ricorre il 150° anniversario
di un'invenzione, semplice ma geniale, che si è diffusa in tutto il
mondo e che è rimasta praticamente immutata dalla sua prima
apparizione, malgrado tutti i progressi della tecnologia e le nostre
sempre maggiori capacità di ricerca e di sviluppo. |
|
|
Si tratta della
capsula metallica che, con la tipica gabbietta in filo di ferro,
trattiene il tappo delle bottiglie di Champagne e di tutti i vini
spumanti prodotti nel mondo intero. Ci è tanto familiare e si è
dimostrata così efficace e pratica da montare (ma anche da togliere
quando si vuole stappare una bottiglia di Campagne) che verrebbe quasi
da pensare che la gabbietta e la capsula siano esistite da sempre. |
Invece non è così, perché l'idea e lo
sviluppo dei primi prototipi furono merito di Adolphe Jacquesson, un
produttore di Champagne di Chalon-sur-Marne, nella prima metà del 1800:
è infatti del 15 novembre 1844 la data di deposito del "Brevetto
d'invenzione" di vari tipi di capsule in lamierino, fissate sulla
parte superiore del tappo ed assicurate al collo della bottiglia con
vari sistemi, i principali dei quali consistevano in una gabbietta di
filo di ferro ritorto. |
|
|
L'invenzione risolveva due problemi importanti
che preoccupavano i produttori di Champagne dell'epoca: infatti
parecchie bottiglie "perdevano" (bouteilles recouleuses),
perché i tappi lasciavano filtrare del vino e dell'anidride carbonica:
lo Champagne si ossidava, perdeva le sue qualità organolettiche e
scompariva quasi completamente il suo caratteristico spumeggiare. |
Il
secondo inconveniente era dovuto allo spago che tratteneva i turaccioli:
la pressione interna faceva sì che il tappo fuoriuscisse un po', dato
che lo spago tagliava il sughero e penetrava nel tappo; ciò creava le
perdite di vino e gas che abbiamo visto. |
|
|
Altre volte lo spago ammuffiva
per l'umidità delle cantine, durante la fase di invecchiamento (quando
qualche topolino non se lo rosicchiava), si indeboliva e si spezzava,
liberando il tappo, che veniva poi espulso dalla forte pressione
interna. |
In effetti era sempre esistito il problema di
una buona tappatura delle bottiglie di Champagne, sin dai tempi di Dom
Pérignon,
quando si era messo a punto il metodo per rendere spumeggiante il vino,
grazie ad una seconda fermentazione provocata nella bottiglia. Allora le
bottiglie (siamo alla fine del 1600) erano tappate con dei cavicchi di
legno, sui quali veniva avvolta una corda di canapa, imbevuta di olio, e
che venivano ficcati a forza nel collo delle bottiglie. |
|
|
Si cercava poi
di migliorare la tenuta, sigillando il collo delle bottiglie con cera
liquida o con ceralacca; ben presto però ci si rese conto che questo
sistema era tutt'altro che efficace, non tratteneva il gas ed era
decisamente insufficiente a contrastare la pressione che si sviluppa
nell'interno, che faceva fuoriuscire buona parte di queste chiusure
precarie. |
Si passò quindi ai tappi di sughero, che però, per la loro
migliore tenuta, dovevano obbligatoriamente essere fissati con delle
cordicelle di canapa, annodate a mano; l'operazione era tutt'altro che
semplice e rapida, perciò venne messo a punto uno strumento (detto
calbotin o calice o anche pot à ficeler) dove si inseriva la bottiglia,
che veniva trattenuta saldamente durante l'operazione di legatura. |
|
|
Il lavoro dei legatori era però difficoltoso (e
doloroso per le mani) e richiedeva un notevole sforzo fisico; ma è solo
verso il 1855 che un vigneron di Avize, Nicaise Petitjean, inventò e
brevettò una macchina per legare i tappi con lo spago; l'apparecchio
facilitava notevolmente il lavoro degli addetti alla legatura e
migliorava il fissaggio dei tappi, che restava però precario, per le
ragioni viste prima. |
Per una maggior garanzia di tenuta, alcuni
negozianti rinforzavano la legatura di canapa aggiungendo uno o due fili
di ferro ritorto, che venivano fissati con l'aiuto di apposite pinze. |
|
|
Se
risolveva un problema, questo filo metallico ne creava un altro al
momento di stappare la bottiglia: bisognava infatti tagliarlo con una
pinza speciale o con un uncino di ferro, che lasciava dei bordi
taglienti e pericolosi. Per facilitare l'apertura delle bottiglie, senza
dover ricorrere a pinze o uncini (e soprattutto per evitare di ferirsi)
qualcuno ebbe l'idea di prevedere un anello o un ricciolo sul filo di
ferro ritorto, che poteva così essere rimosso più agevolmente. Talvolta questo anello era munito di un sigillo in piombo sul quale era
impressa la parola Champagne oppure il nome o il marchio del produttore
o del negoziante. |
Il lavoro per applicare la legatura di spago ed il
rinforzo di filo di ferro era però lungo, difficoltoso e costoso; si
incominciò così a perfezionare il filo di ferro, preformandolo,
dandogli cioè una sagoma che ne facilitasse l'applicazione sul tappo ed
il fissaggio sulla bottiglia: era nata la gabbietta (muselet). |
|
|
All'inizio del secolo venivano fabbricate delle
gabbiette molto semplici, previste per tre o quattro montanti, con un
piccolo foro centrale nella parte superiore: le gabbiette venivano
posate direttamente sul tappo e, qualche volta, veniva inserita una
rondella zincata tra il sughero e la gabbietta. Poi Adolphe Jacquesson
ebbe l'idea di utilizzare una capsula di lamierino fustellata e
preformata, senza scritte o con impresso in rilievo la parola Champagne,
che si dimostrò ben presto la soluzione vincente. |
La capsula permetteva
di fissare saldamente il tappo, di assicurare un'ottima tenuta, di far
assumere al tappo la tipica forma rotondeggiante e regolare, era
esteticamente valida e si poteva decorare con i simboli ed i marchi del
produttore. |
|
|
Fu così che la forma della gabbietta si modificò
nuovamente, il piccolo foro centrale divenne più grande per contenere
la capsula, che venne stampata con quattro scanalature sul perimetro,
per alloggiare saldamente i montanti: era la forma che ora conosciamo e
che non è più cambiata. |
Il sistema dimostrò di essere pratico,
affidabile, facile da installare e semplice da togliere, meno costoso
delle altre alternative e si è generalizzato per tutti i vini spumanti,
diventando anche un simbolo di qualità, tanto che è stato adottato
(forse impropriamente) da altri prodotti quali il sidro, l'idromele, la
birra. |
|
|
Le capsule sono sempre più belle, decorate con simboli, marchi,
figurazioni attraenti e di prestigio, tanto da divenire ben presto
oggetto di collezione tra gli appassionati: alcune capsule infatti sono
delle vere e proprie opere d'arte! |
In Francia si definiscono "placo-musophiles"
(appassionati di capsule), vi sono scambi attivi tra i collezionisti e
si è creato un piccolo commercio, che ha i suoi centri a Reims e ad
Epernay. |
|
|
Per celebrare il 150° anniversario dell'invenzione di
Jacquesson, si sono tenute a Chalon-sur-Marne delle manifestazioni, che
hanno interessato la città e la regione: esposizioni sulla storia dello
Champagne e sui mestieri legati alla produzione, all'elaborazione ed
alla commercializzazione dello Champagne ed una Borsa internazionale di
scambio delle capsule. |
Quattro "Maisons" di Champagne:
Joseph Perrier, Laurent-Perrier, Jacquesson et Fils ed Albert Le Brun
hanno realizzato una capsula commemorativa (che figura sulle bottiglie
di alcune cuvées elaborate espressamente per l'occasione); la serie
delle quattro capsule è stata messa in vendita in uno speciale
cofanetto di sughero. |
|
|
È stata anche realizzata una brochure che
ripercorre l'epopea di Jacquesson (che ha fatto altre invenzioni e reso
possibili numerosi progressi nella produzione dello Champagne) e di
tutte le scoperte, invenzioni, progressi che hanno costellato i trecento
anni di storia dello Champagne, dalla nascita ai nostri giorni. |
La sua
lettura permette di seguire e di comprendere quanto sia stata lunga e
lenta l'evoluzione delle tecniche di tappatura delle bottiglie di
Champagne, indispensabili per portare sulle nostre mense il vino più
famoso del mondo, con intatte le sue inimitabili qualità e
caratteristiche. |
|
|
Forse sino ad ora abbiamo stappato la bottiglia che
accompagnava un momento felice della nostra vita, ignorando questa lunga
storia. |